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Pubblicato il 02 gennaio, 2020 22:35
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Lo spettacolo narra le vicende di Settimia Spizzichino, l’unica donna ebrea del Ghetto di Roma sopravvissuta alla deportazione del 16 ottobre del 1943. 

Quella sera il colossale rastrellamento delle SS a Roma si era concluso con un bilancio tragico: 1022 ebrei romani erano stati catturati, la maggior parte nel vecchio quartiere del Portico d’Ottavia, l’antico “ghetto”, che mai, nemmeno nei secoli più bui, era stato testimone di tanta spietatezza.

Dei 1023 razziati di quel giorno sono tornati, alla fine della guerra, sedici uomini e una sola donna: Settimia Spizzichino. Grazie al suo carattere, alla sua determinazione, Settimia ce l’aveva fatta e fin dal suo ritorno prese su di sé l’impegno di raccontare, di testimoniare gli orrori che aveva visto e subito sulla sua stessa pelle nei campi di sterminio.

Questo spettacolo, nato nel 2010, decennale della sua scomparsa, intende ripercorrere, attraverso i suoi stessi ricordi, quegli anni di terribile prigionia fino alla liberazione e al difficile ritorno alla vita.

La descrizione di quei tragici avvenimenti è molto minuziosa ed è fedele ai racconti della stessa Settimia, della quale ci sono rimaste molte interviste video. Il lavoro di preparazione storica e letteraria del testo, scritto da Roberto Bencivenga e recentemente pubblicato dalla Booksprint Edizioni, è durato più di un anno, e si avvale di alcune poesie scritte da Luciana Bramante, studiosa ebrea della Shoah, la quale ha avuto anche la funzione di consulente storica. Molti documenti originali, utili alla stesura del testo, sono stati forniti dalla nipote di Settimia, la Dott.ssa Carla Di Veroli

Storicamente molto documentato, quasi un teatro verità, lo spettacolo si avvale anche di numerosi documenti storici originali, quali filmati dell’Istituto Luce e registrazioni audio di Radio Londra, e vuole ricordare non solo una donna straordinaria quale è stata Settimia Spizzichino, ma le vicende che hanno coinvolto tutti gli ebrei italiani, ed in particolare quelli romani, dalla promulgazione delle leggi razziali fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale e alla Liberazione. 

Lo spettacolo prevede sei attori protagonisti nei ruoli di Settimia (Claudia Alfonsi), la sorella Giuditta (Serena Locritani), la Madre (Paola Massullo), l’infermiera Cristina (Gabriela Charvatova), l’amico Leopoldo (Carmine Paraggio) ed un misterioso personaggio (Roberto Bencivenga) che solo alla fine si scopre essere la personificazione del ricordo di Settimia, della sua Memoria, quella Memoria che le ha permesso di testimoniare per tutta la vita l’orrore di cui era stata vittima. Accanto a questi, una miriade di attori interpretano tutti gli altri ruoli che vengono rappresentati attraverso la loro voce, personaggi storici improbabili da mettere in scena (il Dottor Mengele interpretato da Fabio Fantozzi), le altre parenti di Settimia (la sorella Ada e la zia interpretate rispettivamente da Fabiana De Chicchis e da Carla Tiraboschi), o anonime figure di prigionieri (Andrea De Simone, Valerio Di Benedetto, Leonardo Bocci, Luca Basile, Francesca Scrimieri, Giorgia Garofalo) simbolo delle efferatezze compiute dai nazisti, il cui linguaggio spesso viene affidato alla poesia di Luciana Bramante, in un crescendo di emozioni che rendono lo spettacolo molto toccante ed intenso. Nessuna scena di cruda violenza viene mostrata, ma il linguaggio dei versi e spesso le riflessioni della protagonista assumono una forza ancora più vibrante ed intensa. 

Dopo le varie trattazioni del tema, si è cercato, con questo spettacolo, di parlare di una protagonista italiana, romana, per di più, una donna del popolo che nella tragedia è stata capace di trovare quella forza che ha saputo trasformare una persona semplice e assolutamente normale, in una donna straordinaria testimone e simbolo della Shoah.

La parte visiva dello spettacolo è affidata alle scenografie di Leonardo Baglioni e ai costumi di Giovanna Ciufoli.  La regia è di Roberto Bencivenga.


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