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Categoria Opere Fiore Argento 2005

Categoria Opere Fiore Argento 2005

Categoria Opere Fiore Argento 2005

Vincitore
Autore: Piero De Bernardi
Opera Presentata: Fiore d'argento per lo spettacolo

Motivazione del Fiore d'argento per lo spettacolo

Uno dei più prolifici e massimi autori della Commedia all'Italiana, Piero De Bernardi ha scritto le storie di alcuni dei capolavori della cinematografia nazionale, legando il suo nome a registi quali: Pietro Germi, Vittorio De Sica, Sergio Leone e Mario Monicelli e, più in generale a tutti i grandi autori del Cinema Italiano.
Tra i film che tutti conoscono basti ricordare L'uomo di paglia, Matrimonio all'Italiana, C'era una volta in America, Speriamo che sia femmina e Amici Miei. Ha lodevolmente contribuito così alla diffusione, valorizzazione e conoscenza della nostra cultura e del nostro cinema nel mondo.
Le corde dell'umorismo, unite al senso di osservazione della società italiana, sono gli aspetti principali della sua inimitabile poetica, cui questo premio Fiore d'Argento alla Carriera vuole rendere omaggio

Piero De Bernardi
Nato a Prato nel 1926 interrompe gli studi classici per dedicarsi al cinema; da subito fa coppia con Leonardo Benvenuti, ed è un legame professionale destinato a mai sciogliersi. La prima sceneggiatura è Il tesoro del Bengala (1954) di Gianni Vernuccio, successivamente scrive Le ragazze di San Frediano (1955), tratto da un romanzo di Vasco Pratolini e diretto con l’abituale garbo da Valerio Zurlini; per la regia di Alberto Lattuada, scrive lo script di Guendalina (1957) e per Pietro Germi quello de L’uomo di paglia (1958). Dalla metà degli anni cinquanta non si contano più i copioni scritti per il cinema dalla sua penna: si va da Camping (1957) di Franco Zeffirelli ad Arrangiatevi! (1959) di Mauro Bolognini, da Matrimonio all’italiana (1964) di Vittorio De Sica a Incompreso (1966) di Luigi Comencini, da Per grazia ricevuta (1971) di Nino Manfredi ad Alfredo, Alfredo (1972) ancora di Germi, da Lo chiameremo Andrea (1972) di De Sica a Finché c’è guerra c’è speranza (1974) di Alberto Sordi, sino al mitico primo Fantozzi (1975) di Luciano Salce, inizio d’una saga che lo vedrà a lungo impegnato. Per Monicelli da vita ad uno dei suoi copioni più belli Amici miei (1975) e successivamente per Dino Risi scrive La stanza del Vescovo (1977) Con l’inizio degli anni Ottanta, comincia un sodalizio con uno tra i giovani comici più promettenti: Un sacco bello (1980), fortunato esordio registico di Carlo Verdone, e il successivo Bianco, rosso e Verdone (1981); nello stesso anno scrive Il marchese del Grillo (1981) per Monicelli. Tra i suoi capolavori compaiono poi C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone e Speriamo che sia femmina (1986) di Monicelli. I suoi ultimi lavori sono: Ogni lasciato è perso opera prima del vulcanico Piero Chiambretti. Ma che colpa abbiamo noi (2003) di Carlo Verdone, In questo mondo di ladri (2004) e Il Ritorno del Monnezza (2005) di Carlo Vanzina.

Vincitore Fiore d'argento alla memoria

Vincitore
Autore: Mario Luzi
Opera Presentata: Fiore d'argento alla memoria

Motivazione del Fiore d'argento alla memoria

La scomparsa di Mario Luzi ha lasciato un vuoto profondo nella letteratura e nelle vita civile del nostro Paese. Per tale motivo la giuria del Premio Nazionale di Poesia Il Fiore ha deciso di rendere omaggio al grande artista toscano, vincitore fra l'altro dell'edizione del 1989, consegnando agli eredi il Fiore d'argento alla memoria 2005.

Mario Luzi
La lunghissima vita di Mario Luzi è interamente dedicata alla composizione di un’opera multiforme e vastissima (saggistica, poesia, teatro di poesia, libri di interviste, traduzioni), che riesce a mettere in secondo piano le esigenze individuali: la vita familiare con Elena, la nascita del figlio Gianni, le amicizie (da Cristina Campo — a cui è dedicata, decine di anni dopo, una poesia di Sotto specie umana, senza tracce di un trasporto diverso — a Carlo Betocchi), l’insegnamento universitario. Solo la figura materna lascia segni evidenti nelle opere: o come figura consolatrice («non mi nega cibo né alloggio») o come ispiratrice di un senso religioso della vita.

L’impressione generale è una grande distanza dai fatti individuali, in nome di una «vita di raccoglimento» (intervista a Paolo Di Stefano, «Corriere della Sera», 19 agosto 1993) in cui le vicende che diventano poesia sono altre. Luzi si presenta come poeta «non del tutto cervellotico», autocommentando il dramma Ipazia (1978), e infatti la sua opera nasce come scoperta e rivelazione, a partire dagli ultimi titoli (Per il battesimo dei nostri frammenti: «Quasi sempre un titolo è un mantra, viene da molto lontano. Mi suonò intimamente questa locuzione e nessun’altra per due anni è venuta a contrapporvisi. Questo è stato allora il titolo. Spero che gradualmente mi riveli il suo significato pieno e reale»: nel libretto Spazio stelle voce. Il colore della poesia, 1992).

Più che poeta cristiano, Luzi è — in questo senso — un poeta mistico, al di fuori di una precisa appartenenza confessionale (cfr. l’intervista a Stefano Verdino, «Il Secolo XIX», 26 settembre 1998: «Il crisma o sigillo del cristiano, una volta che si è ricevuto, è irrevocabile. È più doloroso che lieto, ma non sapresti rinunciarvi mai, anche se ti discosti dalle sue credenze», ed è questo il caso di Luzi). Al tema religioso Luzi ha dedicato una lunga conversazione con Stefano Verdino: La porta del cielo (1997).

Mario Luzi è nato sessant’anni dopo Arthur Rimbaud (20 ottobre 1854) il 20 ottobre 1914, presso Firenze. «I primi sintomi d’inclinazione verso la poesia li ho avuti da bambino, quando non sapevo nemmeno che cosa andavo cercando e cosa scarabocchiavo sulle pagine dei quaderni. A nove anni scrissi la mia prima poesia, senza sapere se poteva essere ritenuta tale» (intervista a Ugolino Vagnuzzi, «Il Messaggero di Sant’Antonio», novembre 1993).

Il primo libro di poesia è La barca (1935), in cui è esibito l’«alimento più sicuro della continuità poetica» di Luzi (nell’intervista a Vagnuzzi, cit.), e cioè una contemplazione stupefatta della natura e della solarità. Seguono esperimenti che situano decisamente Luzi nella corrente dell’Ermetismo fiorentino, con Parronchi e Bigongiari, in particolare: Avvento notturno (1940), Quaderno gotico (1947), Onore del vero (1957).

Una svolta verso le qualità drammatiche del linguaggio (testi di quasi-prosa, dialoghi di stampo eliotiano) avviene con Nel magma (1963), che fin dal titolo vuole testimoniare l’immersione nella complessità più dura e nella metamorfosi, che d’ora in poi diventano un suo motivo conduttore esplicito. Il giudizio di Luzi sul tempo umano tiene presente il caos e il suo calore violento: «Prima io lo chiamavo magmatico, poi caotico; però conservo la tenace convinzione che dalla confusione possa nascere anche qualcosa di più positivamente orientato verso il rinnovamento» (intervista a Gianni Boari, «Il Secolo XIX», 2 luglio 1995). In termini poetici, nel Libro di Ipazia: «Ma è nel fuoco che bisogna ardere. / Niente si addice alla parola più che la temperatura del fuoco».

Il percorso poetico continua con Su fondamenti invisibili (1971), Al fuoco della controversia (1978), Per il battesimo dei nostri frammenti (1985), Frasi e incisi di un canto salutare (1990), Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994), Sotto specie umana (1999), fino all’ultimo Dottrina dell’estremo principiante (2004). La Dottrina ossimorica di chi inizia eternamente, senza esaurire il percorso (e quindi è più l’Uomo in generale che l’uomo-Luzi in particolare), salda il 1935 con il 2004, i vent’anni con i novanta, attraverso l’ultimo testo, che è un omaggio al proprio passato, ma — forse — con un atteggiamento di distacco e di sensibilità all’evidenza: il mutamento del magma in caos.

L’itinerario di Luzi non è tanto dall’ermetismo alla chiarezza — anche se i testi diventano in parte più limpidi e diretti — quanto dal narcisismo di una sola voce alla pietas di una coralità di voci attive e di “scribi” che sono disponibili a scrivere. La nascita del teatro di Luzi deriva da questa attenzione, continuamente rimessa in gioco in una produzione vastissima: Ipazia (1971-1978; e in Ipazia Luzi ammette di aver alluso a Cristina Campo); Rosales (1983); Hystrio (1987); Corale della città di Palermo per Santa Rosalia (1989); Io, Paola, la commediante (1992); Il fiore del dolore (2003, sull’assassinio di don Pino Puglisi). Un posto particolare, più drammatico che teatrale in senso stretto, ha la Passione, il testo scritto per la Via crucis al Colosseo (1998).

Nel 1998 le poesie di Luzi sono state riunite in un volume dei Meridiani Mondadori, curato da Stefano Verdino: le raccolte edite fino a quel momento si dividono in tre sezioni (Il giusto della vita, che comprende i primi sei libri; Nell’opera del mondo, che indica i successivi quattro; Frasi nella luce nascente, che comprende le poesie del Luzi anziano, e che si può considerare il periodo ancora in fieri oggi).

Giovanni Raboni, recensendo («Corriere della Sera», 24 novembre 1998) questo lavoro di sistemazione, scrive che sono «tre parti: tre come le età fondamentali della vita, come le cantiche della Commedia, come i tempi di una sonata».

Il 20 ottobre 2004 Mario Luzi compie novant’anni. Nei giorni precedenti, riceve dal Presidente della Repubblica la nomina a Senatore a vita, anche a parziale risarcimento di un Premio Nobel mai assegnato, nonostante ripetute candidature. Ma il titolo risarcisce, soprattutto, la distanza del potere politico italiano da Luzi: «Facendo un bilancio di tanti anni, direi che non ho avuto molto. Ho ricevuto gratificazione da singole persone, che hanno espresso apprezzamento della mia poesia. Ma dall’ufficialità non ho avuto molto, neppure sul terreno pratico» (intervista redazionale, «Il Santo dei miracoli», 3, 1998).

La nomina riceve consensi aperti, ma anche voci contrarie, come quella — rispettosissima del percorso e della persona di Luzi — di Giuseppe Genna nel sito www.miserabili.com. La critica negativa tiene presente la differenza di Luzi da altre figure italiane (Montale, Ungaretti, Zanzotto) e soprattutto europee (Eliot e Pound, in particolare): non è in discussione la bellezza dei testi di Luzi — spesso di un’eleganza lancinante, quasi “saggistica” (Mengaldo) — ma l’invenzione di un nuovo immaginario e/o di una nuova lingua.

In Luzi non avviene quello che avviene in Zanzotto e in Pound: Luzi parte dal presupposto che il magma e la metamorfosi della realtà siano ugualmente dicibili, nella misura in cui la coscienza umana li coglie. Che questa coscienza sia deformabile e sofferente (come in Pound e Zanzotto, in Artaud, in Pasolini, in Testori…) e che questa deformazione sia spinta anche a deformare il linguaggio è vero, e su questo si fondano una poesia altissima e un’estetica a parte: il lettore deve sapere che il discorso di Luzi si pone su un livello non maggiore o minore, ma diverso. (M. S.)

Commentando la sua scomparsa, il 28 febbraio 2005 Dario Fo, a cui è stato attribuito quel riconoscimento che al poeta fiorentino è sempre sfuggito, ha commentato: «E' morto il Senatore, perché il Poeta resterà sempre con noi».

Vincitore Fiore d'argento per la poesia

Vincitore
Autore: Luciano Luisi
Opera Presentata: Fiore d'argento per la poesia

Motivazione del Fiore d'argento per la poesia

Rivelato come poeta, poco più che ventenne, da un prestigioso concorso indetto dalla “Fiera letteraria”, Luciano Luisi ci ha regalato in quasi sessanta anni di carriera, una nutrita produzione artistica che ha persuaso al tempo stesso lettori e studiosi di poesia.
Scrittore raffinato, considerato oggi una delle voci più limpide della poesia italiana, Luisi si è mosso nel solco della migliore tradizione lirica col suo linguaggio levigato sfuggendo al rischio dell’autocontemplazione per la continua esigenza di interrogarsi, di cercare la verità, facendo così della propria biografia vicenda universale.
Una poesia, la sua, che dialoga col Divino e si nutre del quotidiano, pronta ad accogliere le avversità, le inquietudini e i dubbi dell’artista, ma pure i suoi stupori, ogni spunto di felicità che la vita può offrire, che si concretizzano, principalmente, nelle sublimi liriche d’amore, dove forse il poeta riesce a dare il meglio di sé.
Quest’anno, la carriera di Luisi ha ricevuto ulteriore slancio con la pubblicazione di tre straordinari volumi (vincitori, fra l’altro, di importanti premi letterari), a cui è venuto ad aggiungersi Eloisa e Abelardo, un appassionante (e appassionato) racconto in versi per tre voci portato in scena con successo dal Teatro della fede di Grottaglie.
Un momento di grande fervore creativo che meritava essere sottolineato da un nuovo riconoscimento, questo Fiore d’argento alla carriera che la giuria ha deciso di conferire a un grande autore che, nel 1979, fu il primo vincitore del Premio.

Luciano Luisi è nato a Livorno il 13 marzo 1924, da madre toscana e padre pugliese. Vive a Roma dove si è affermato come commentatore culturale alla televisione. Ha insegnato all’università “Pro Deo” di Roma e Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Foggia. E’ collezionista e studioso di conchiglie.
Ha diretto la collana di saggistica del Premio Fiuggi e, con Cosimo Fornaro, quella del premio “Gli ori di Taranto”. Ha curato monografie di Luzi, Prisco, Pratolini, Sciascia , Miscia e, fra quelle per artisti figurativi, di Greco, Guttuso, Vespignani e tanti altri.
Ha pubblicato Racconto e altri versi (Guanda, 1949); Piazza Grande (Cappelli, 1951), pref. di Giorgio Caproni; Un pugno di tempo (Guanda, 1967, 1968), premio Chianciano; Amar perdona (Quaderni di Piazza Navona, 1979) ; La vita che non muta (Premio Pandolfo, Edizione del Premio, 1980); Nella cronaca (Dossier Arte, 1982); La sapienza del cuore (Rusconi, 1986, 1987³), che ha avuto 9 premi; Io dico una conchiglia (Galleria Poggiali e Forconi, 1989); Il doppio segno (Schena , 1994); Il giardino e altri aiku (Marco, 1998); Il silenzio (Book, 1998), premi Brianza e Marineo; La farfalla vanesia, poesie per bambini (Paideia, 2000).
Ha tradotto duecento poesie d’amore di tutte le letterature in Luna d’amore (Newton Compton, 1989) e pubblicato il romanzo Le mani nel sacco (Camunia, 1992); prose e poesie in Livorno storia e memoria (Nuova Fortezza, 1994); una serie di interviste-conversazioni in Lo scrittore e l’uomo (Mucchi, 2001). Ha curato un’antologia di poesie italiane dedicate al padre A mio padre… (Newton, 1996), e per la madre In queste braccia (San Paolo, 2003). Inoltre, Nonostante (Passigli, 2004), premi Il Ceppo e Roberto Farina; Poesie d’amore (Newton Compton, 2004); e Poesie d’amore di tutte le letterature (Newton Compton per conto dell’Arena di Verona, diecimila copie, 2004). Ha scritto per il teatro Eloisa e Abelardo, un racconto in versi per tre voci dedicato alla passione degli sfortunati amanti.

Ultima modifica: martedì, 27 giugno 2023

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